Cormac McCarthy, La Strada

L’ultima fiamma che ancora arde nell’oscurità e nella morte, alla fine dei giorni, è l’amore di un padre per suo figlio. Attraverso un mondo divenuto una distesa incolore di cenere, disperazione e violenza cieca, su una strada che è volontà di sopravvivere, speranza e rifiuto di abbandonare l’ultimo legame a ciò che rende umani. La tragedia dell’uomo, abbandonato da un Dio che forse non è mai esistito, tradito da una Natura che con il suo ultimo respiro ha cessato per sempre di nutrirlo, è narrata attraverso la cronaca incolore dei gesti quotidiani della sopravvivenza, i dialoghi scarni e affilati come i neri alberi scheletrici che artigliano il cielo livido, e le frequenti allegorie bibliche di un realistico post-apocalisse.

Può sembrare riduttivo, forse anche irrispettoso, occuparsi sotto l’etichetta di narrativa di genere di un’opera insignita del Premio Pulitzer nel 20071 e scaturita dalla penna di uno dei più grandi scrittori contemporanei:2 tutto lascia pensare, in assenza di dichiarazioni di un autore che è sempre stato restio a rilasciarne, che La Strada si inserisca in un filone, quello post-apocalittico, quasi incidentalmente, come se quel tipo di ambientazione sia esclusivamente servita come pretesto per raccontare del legame tra un padre e un figlio, di speranza mentre il mondo è in agonia e l’umanità sopravvissuta regredisce a uno stato primitivo, crudele (o, forse, rivela la sua vera natura).

Cormac McCarthy

Ma se dal punto di vista formale è a un’opera di narrativa di speculazione post-apocalittica che ci troviamo di fronte, è anche vero che ogni capolavoro trascende il genere impresso sull’etichetta che gli viene assegnata, sulla scritta dello scaffale sul quale viene esposto in libreria o in biblioteca. A conti fatti, sulla base di inequivocabili parole espresse dallo stesso McCarthy in una di quelle rare interviste rilasciate nella sua vita, La Strada ha forti elementi autobiografici3 e le stesse cause della fine della civiltà umana non vengono mai chiarite nelle sue pagine perchè non sono necessarie alla storia narrata.4

La predilezione per brevi e semplici dichiarative, l’uso frequente del polisindeto, la mancanza di convenzioni tipografiche che permettano al lettore di distinguere con una semplice occhiata i dialoghi – a volte incolonnati, altre volte inseriti nel corpo del testo – dalla voce narrante, sono tutti elementi chiave della cifra stilistica di McCarthy, un’immediatezza che però racchiude un’intensità e un ritmo continui, crudi nella loro trasparenza e che a volte esplodono in passaggi di unica evocatività.

La straordinaria scelta delle parole (resa dall’eccellente traduzione italiana a cura di Martina Testa) non necessita affatto di un vocabolario ricercato nè tantomeno di una sintassi elaborata. Tutto questo contribuisce, nella Strada, a comporre un flusso plumbeo, segnato dalla disperazione se non in quell’amore incondizionato, in quella strenua volontà di un padre (senza nome) di proteggere suo figlio (senza nome) rispondendo alla violenza con la violenza per conservare e consegnare quel fuoco a un futuro che è collettivo: Dio è morto o forse non è mai esistito ma se esiste è in un bambino nato dopo la fine e che non conosce nulla di ciò che è stato prima.


È vero? Il fuoco, intendo.
Sí che è vero.
E dove sta? Io non lo so dove sta.
Sí che lo sai. È dentro di te. Da sempre. Io lo vedo.

Proprio in questo si gioca la continua contrapposizione etica tra l’egoismo necessario a sopravvivere come individuo e l’altruismo richiesto dalla continuità di specie, l’empatia che definisce la natura di una collettività.5 Non è quindi la trama, elementare, lineare, a definire la grandezza di quest’opera ma ciò non significa affatto che venga a mancare la tensione emotiva della ricerca di una speranza, di un futuro, di portare e passare ad altri quel fuoco dentro di sé e che non deve mai spegnersi.

La potenza emotiva della scrittura di Cormac McCarthy è quella dei più grandi scrittori di ogni tempo.

NOTE

1 2007 Pulitzer Prizes <https://www.pulitzer.org/prize-winners-by-year/2007> [consultato il 30 agosto 2023]

2 In un suo articolo pubblicato sul The Boston Globe nel 2003, in cui contestava la decisione di assegnare a Stephen King il riconoscimento di quell’anno per il “notevole contributo alla letteratura americana” (Medal for Distinguished Contribution to American Letters) del National Book Award, l’autorevole critico d’oltreoceano Harold Bloom ha definito McCarthy uno dei più grandi autori americani allora in vita insieme a Thomas Pynchon, Philip Roth e Don DeLillo; cfr.: Harold Bloom, Dumbing Down American Readers, «The Boston Globe», 24 settembre 2003 <https://web.archive.org/web/20200608204903/http://archive.boston.com/news/globe/editorial_opinion/oped/articles/2003/09/24/dumbing_down_american_readers> [consultato il 30 agosto 2023]

3 «[…] molti dei dialoghi del libro sono conversazioni, trascritte parola per parola, fra me e mio figlio John. È questo che intendo quando dico che lui è il coautore del libro.» John Jurgensen, McCarthy. L’amore padre-figlio al tempo dell’apocalisse, «La Domenica di Repubblica», 10 gennaio 2010, p. 28, traduzione di Fabio Galimberti

4 «Molti me lo chiedono [quale sia la causa dell’apocalisse nella Strada, nda]. Io non ho un’opinione al riguardo. […] alcuni geologi mi hanno detto che a loro sembrava un meteorite. Ma avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, l’attività vulcanica o una guerra nucleare. Non è veramente importante. La questione essenziale ora è: che cosa fai?» Ibidem

5 Jingjing Guo, McCarthy’s The Road and Ethical Choice in a Post-Apocalyptic World, in «CLCWeb: Comparative Literature and Culture» Vol. 17 (2015), Issue 5, Purdue University Press <https://docs.lib.purdue.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2732&context=clcweb> [consultato il 30 agosto 2023]


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