William Gibson, Inverso

(Libro I di Jackpot)

Stati Uniti meridionali, futuro prossimo. Flynne Fisher vive in una cittadina rurale con il fratello Burton, veterano della Elite Force Recon Haptic dei Marine in congedo a causa dei danni provocati dalle interfacce neurali impiantate nel suo corpo. Burton arrotonda la pensione d’invalidità testando videogiochi in realtà virtuale e, quando gli viene proposto un nuovo incarico da parte della misteriosa società colombiana Milagros Coldiron, chiede a sua sorella di sostituirlo.

Londra, settant’anni dopo. Sono trascorsi decenni da un evento apocalittico chiamato Jackpot e Wilf Netherton, addetto alle pubbliche relazioni, sta seguendo in telepresenza l’esibizione della famosa artista americana Daedra West, giunta in missione diplomatica nell’isola di rifiuti di plastica della tribù post-umana dei Pezzatori, nel mezzo dell’Oceano Pacifico.

Insieme a Bruce Sterling, William Gibson è considerato il padre del cyberpunk, declinazione della narrativa di fantascienza – e, insieme, movimento ideologico – che ha ridefinito il genere intorno alla metà degli anni Ottanta, coniugando le riflessioni più cupe sul rapporto tra umanità e tecnologia a speculazioni di carattere politico ed economico in massicce ambientazioni urbane dominate da enormi e potenti multinazionali.1

Rispetto a Neuromante (Neuromancer, 1984), considerato il capolavoro di Gibson e capostipite del cyberpunk, perfino oggi ancora in grado di influenzare l’immaginario visivo dei più cupi futuri possibili, Inverso ha una struttura maggiormente simile a quella di un thriller che di un noir/hardboiled (uno degli elementi a riprova di ciò è il passaggio alla narrazione in terza persona che, rispetto a quella soggettiva, contribuisce decisamente a una presa di distanza dalla visceralità lisergica della voce dell’autore in Neuromante).

William Gibson

Una duplice tendenza, dunque, di stile (più piano) e di struttura narrativa (più aderente al thriller) che è maturata nelle opere di Gibson dalla metà degli anni Novanta a oggi e che John Clute ha posto in stretta relazione alla scelta dell’autore di ambientare le proprie storie in futuri meno lontani dal proprio punto di vista (La Trilogia del Ponte, 1993-1999) o, addirittura, nella sua stessa contemporaneità (Il Ciclo di Bigend, 2002-2010) perchè consapevole di quanto sia mutevole e incerta la percezione del futuro in un mondo post-ideologico e globalizzato, un’insicurezza resa esplicita nel passaggio di un dialogo contenuto nel romanzo Pattern Recognition, originariamente pubblicato nel 2003.2

In modo non dissimile da questo approccio già dunque ampiamente adottato, lo scrittore americano (ma di origini canadesi) confeziona, in Inverso, un thriller giocato tra due realtà temporali interconnesse tra loro dal Jackpot, che dà anche il titolo a una trilogia atipica (in quanto costituita da romanzi autoconclusivi) iniziata con questo libro, poi continuata con Agency (2020) e che si concluderà con un romanzo eponimo di prossima pubblicazione.

La linea temporale di Flynne è caratterizzata dalla massiccia presenza di tecnologia d’uso quotidiano, plausibilmente avanzata rispetto a quella del nostro mondo attuale e in apparente contrasto con un’economia depressa, completamente in mano a privati e basata sulla produzione di droghe sintetiche (il tutto tra i sottintesi di una passata guerra civile) mentre quella di Wilf, che sotto certi aspetti ne è un’evoluzione, include l’uso di bioingegneria anche come risultato del superamento di quelle condizioni climatiche ed epidemiche che hanno portato al Jackpot.

Le epoche danno conforto soprattutto a chi non ne ha mai fatto un’esperienza diretta. Definiamo la storia a partire da una complessità che va ben oltre la nostra portata. E applichiamo delle etichette ai risultati. Attribuiamo a essi una denominazione. E poi parliamo di queste denominazioni come se fossero cose che esistono veramente.»

Ciò che accomuna entrambe le linee temporali (e narrative) – e che al contempo rappresenta anche qui la cifra tematica oltre che stilistica di Gibson – è la straordinaria capacità dell’autore di costruire scenari futuribili fin nel minimo dettaglio attraverso la ferma astensione da passaggi esplicativi.

Inverso è infatti punteggiato da una continua, invasiva descrizione di tecnologie che rischiano di disperdere l’attenzione dei lettori meno propensi a lasciarsi trasportare per centinaia di pagine dall’ipnotica prosa dell’autore. Ipnotica ma tutt’altro che intensa: Gibson si concede fin troppo tempo per operare delle svolte significative alla trama e, anche quando queste si verificano – oltre che nelle sporadiche scene d’azione del romanzo – non si avvertono picchi e aumenti di ritmo degni di nota.

Questo primo romanzo della trilogia di Jackpot va inteso più come un’esperienza immersiva – se si è disposti ad abbandonarsi al ritmo pressochè uniforme di una prosa spezzettata in tanti capitoli brevi, fulminanti, e nei cambi di linea temporale – che come una struttura narrativa solida e congegnata in modo tale da mantenere viva l’attenzione del lettore (lettore che probabilmente faticherà, nella prima parte del romanzo, ad adattarsi a una voce così peculiare e disinteressata nei propri confronti).

Se tutto ciò, nelle intenzioni di Gibson, ha la funzione di preparare il terreno ai successivi atti della trilogia – che come già accennato si spostano in punti diversi di entrambi i futuri possibili di Inverso coinvolgendo altri personaggi – è tutto da verificare ma, se ci si limita a questo romanzo, l’impressione che personalmente ne ho tratto è che si tratti più di un’affascinante, riuscita speculazione sul futuro che non di un romanzo efficace dal punto di vista strettamente narrativo.

NOTE

1 Per un’introduzione al sottogenere fantascientifico-letterario del cyberpunk, cfr.: Bruce Sterling, Prefazione, in Id. (a cura di), Mirrorshades. L’Antologia della Fantascienza Cyberpunk, Bompiani, 1994, pp. 15-26; Isaac L. Wheeler, Cyberpunk, Post-Cyberpunk, and the Maturing of a Genre, 2016 <https://www.neondystopia.com/cyberpunk-politics-philosophy/cyberpunk-post-cyberpunk-and-the-maturing-of-a-genre> [consultato il 2 agosto 2023]

2 «Di certo […] adesso non abbiamo la minima idea di chi o che cosa abiterà il nostro futuro. In quel senso non abbiamo futuro. Non nel senso in cui lo hanno avuto i nostri nonni, o pensavano di averlo. Futuri culturali, interamente immaginati, erano il lusso di un’altra epoca, un’epoca in cui l’oggi aveva una durata molto maggiore. Per noi, come sappiamo, le cose possono cambiare così in fretta, con tale violenza, tanto in profondità, che il futuro nel senso inteso dai nostri nonni non ha abbastanza “presente”. Non abbiamo futuro perché il nostro presente è troppo mutevole.» William Gibson, L’Accademia dei Sogni, Mondadori, 2004, p. 104, traduzione di Daniele Brolli; cfr. John Clute, The Case of the World, 2007 <https://web.archive.org/web/20071030090441/http://www.scifi.com/sfw/issue305/excess.html> [consultato il 2 agosto 2023]


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